Approfondimenti
La cosiddetta Legge tariffaria, n.244 del 21 febbraio 1963, relativa alle prestazioni medico chirurgiche (le prestazioni dentistiche si intendono ivi incluse, in quanto la professione sanitaria di odontoiatria ed il relativo albo professionale venivano istituiti solo successivamente con la Legge 24 Luglio 1985, n.409) prevedeva l’istituzione della tariffa nazionale degli onorari tramite decreto del Presidente della Repubblica (da emanarsi su proposta del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro del Tesoro e sentito il parere anche della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici), al fine di fissare la misura dei compensi atta a rappresentare il minimo compatibile con il decoro e la dignità professionale.
Statuiva, infatti, che gli onorari dovessero essere contenuti in misura equa e nel rispetto dei minimi indicati dalla predetta tariffa nazionale, vietando espressamente compensi di misura a questa inferiore e compensi forfettari, facendo salva la facoltà del medico di effettuare prestazioni a titolo gratuito.
Appare interessante osservare, con riferimento all’art.7, che le tariffe potevano essere modificate da parte del Medico provinciale (Organo periferico del Ministero della Sanità), sentito al riguardo anche l’Ordine provinciale dei medici, a fronte di dimostrate esigenze di carattere locale. Tale norma non ha più avuto applicazione da quando la predetta figura del Medico provinciale veniva soppressa con la Legge 23 dicembre 1978, n.833 “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale”, detta anche “Riforma Sanitaria”.
La tariffa nazionale degli onorari per le prestazioni medico-chirurgiche, anticipata dalla L. n.244/1963 di cui sopra, veniva la prima volta approvata con il D.P.R. 28 dicembre 1965, n. 1763, rimanendo troppo a lungo immutata, tanto da perdere la sua effettiva funzione di strumento regolatore del minimo compatibile con il decoro e la dignità professionale. Veniva quindi riformulata con il D.P.R. 17 febbraio 1992 recante “Approvazione della tariffa minima nazionale degli onorari per le prestazioni medico-chirurgiche ed odontoiatriche”, a sua volta mantenuta per lungo tempo fino a rivelarsi anch’essa obsoleta, sia in rapporto ai valori monetari correnti che, soprattutto, al progresso scientifico e tecnologico che nel frattempo aveva caratterizzato l’esercizio professionale.
Il suddetto tariffario minimo nazionale, così come tutti i tariffari di categoria, veniva meno con l’art.2, lett. a), della Legge 4 agosto 2006, n.248, di conversione del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, ben noto come “Decreto Bersani”, che per essere in linea con il diritto dell’Unione Europea comprendeva misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi. Più precisamente, venivano abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali, l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e, conseguentemente, era abrogata la Legge n. 244/1963 e non erano più in vigore i minimi tariffari fissati con il D.P.R. 17/02/1992.
Dal punto di vista ordinistico volto all’interesse superiore della salute dei cittadini, va detto che se tali determinazioni, atte a tutelare la libera impresa, dovevano tradursi in un vantaggio per il cittadino, si è di fatto invece assistito all’abrogazione di norme dirette alla tutela della salute pubblica che trovavano un preciso fondamento nell’art. 32 della nostra Carta Costituzionale, il quale testualmente prevede: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Nella condizione venutasi così a creare, ha assunto particolare rilevanza il Codice di Deontologia Medica, il cui art. 54 detta alcuni importanti principi in tema di onorario professionale, lasciando fermo il presupposto fondamentale che la normativa abrogata aveva pronunciato e cioè che, a tutela della qualità e sicurezza della prestazione, l’onorario deve essere decoroso, commisurato alla difficoltà, alla complessità e alla qualità dell’opera, tenuto conto delle competenze professionali e dei mezzi impiegati allo scopo. Può dirsi, inoltre, che nel privilegiare il rapporto fiduciario tra medico e paziente anche dal punto di vista della fissazione dell’onorario e nell’imporre al professionista di tenere fin dall’inizio un comportamento chiaro e trasparente per quanto riguarda gli aspetti economici della prestazione, l’art.54 del Codice Deontologico ben si accorda con la liberalizzazione tariffaria. A ciò si unisce che lo stesso non ammette le prestazioni a titolo gratuito quando configurabili come forme di concorrenza sleale o finalizzate a indebito accaparramento di clientela.
Il diritto all’equo compenso per i professionisti si afferma il 6 dicembre 2017 con l’entrata in vigore della Legge 4 dicembre 2017, n.172, che all’art. 19-quaterdecies estende il diritto previsto per la professione forense, in quanto compatibile, anche a tutti i rapporti di lavoro autonomo che interessano sia le professioni ordinistiche che quelle non organizzate in Ordini e Collegi. La norma scaturisce, infatti, da un emendamento nella conversione in legge del decreto fiscale n.148/2017 che ha ampliato l’applicazione di un articolo inizialmente dedicato solo agli avvocati. Si tratta di una norma che mira a garantire a tutti i professionisti un onorario proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.
Per quanto concerne la valutazione dell’equità del compenso pattuito bisogna rapportarsi ai parametri previsti per la sua determinazione, che vengono stabiliti per le diverse professioni tramite rispettivi decreti dei Ministeri competenti, cui si fa riferimento nella su citata legge n.172/2017.
Se, da una parte, l’entrata in vigore dell’equo compenso è stata considerata dall’Antitrust (Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato) come una surrettizia reintroduzione delle tariffe minime, dall’altra parte, posizioni senz’altro opposte considerano che questa legge non è in grado di far rivivere il generale regime dei minimi tariffari, non comportando alcuna deroga alle regole della concorrenza e al processo di liberalizzazione messi in atto dalla su citata Legge 4 agosto 2006, n. 248.
Ultimo aggiornamento
15 Febbraio 2024, 15:52