I requisiti formali ed il valore documentario
I requisiti formali
Sempre il DPCM 27 giugno 1986 detta principi in tema di compilazione della cartella clinica, che possono servire da generico riferimento e ausilio anche per uno schematico approccio alla documentazione sanitaria da esibire in ambito pubblicistico.
Si legge infatti, all’art.35, che “in ogni casa di cura privata è prescritta, per ogni ricoverato, la compilazione della cartella clinica da cui risultino le generalità complete, la diagnosi di entrata, l’anamnesi familiare e personale, l’esame obiettivo, gli esami di laboratorio e specialistici, la diagnosi, la terapia, gli esiti e i postumi.
Le cartelle cliniche, firmate dal medico curante e sottoscritte dal medico responsabile di raggruppamento, dovranno portare un numero progressivo ed essere conservate a cura della direzione sanitaria.
Fatta salva la legislazione vigente in materia di segreto professionale e di tutela della riservatezza, le cartelle cliniche e i registri di sala operatoria devono essere esibiti, a richiesta, agli organi formalmente incaricati della vigilanza.
In caso di cessazione dell’attività della casa di cura, le cartelle cliniche dovranno essere depositate presso il servizio medico-legale della USL territorialmente competente.
Così come già ricordato, traspare in tutta evidenza che la cartella deve essere completa di tutti i dati significativi relativi alla degenza del paziente e deve riflettere quanto effettivamente è stato per lui fatto”.
Ulteriore valore ricostruttivo del significato contenutistico della cartella clinica è fornito dalla Suprema Corte allorché ammonisce essere tale documento un “diario diagnostico-terapeutico, nel quale vanno annotati fatti di giuridica rilevanza quali i dati anagrafici ed anamnestici del paziente, gli esami obiettivi, di laboratorio e specialistici, le terapie praticate, nonché l’andamento, gli esiti e gli eventuali postumi della malattia” (Cassazione Penale – Sezioni Unite, 27 marzo 1992).
Il valore documentario
Oltre che nei requisiti formali la funzione certatoria è da considerare anche nella sua parte sostanziale componendosi in essa i requisiti di veridicità, di completezza, di correttezza formale e di chiarezza.
Devesi altresì ricordare l’importanza da consegnare al tempo di redazione della cartella clinica, che “per sua natura è un acclaramento storico contemporaneo”.
Le annotazioni vanno pertanto fatte contemporaneamente all’evento descritto. E anche se la contemporaneità non va peraltro intesa in maniera rigorosa, due limiti temporali sono identificabili perché derivano dalla funzione e dalle caratteristiche proprie della cartella: che deve essere estesa in pendenza di degenza (salvo ovviamente le annotazioni relative al decesso) e secondo la sequenza cronologica della registrazione di eventi, per cui l’incalzare dei fatti riduce sensibilmente la possibilità di registrazioni tardive.
Infatti la contestualità può non essere intesa in maniera rigorosa, ma nel rispetto di alcuni limiti temporali, quali un equo tempo di riflessione clinica, il rispetto della sequenza cronologica nella registrazione degli eventi e l’estensione in pendenza di degenza.
La sequenza quotidiana dell’assistenza in reparto può divenire tuttavia frenetica in alcuni momenti, il che, di fatto, non sempre rende possibile la registrazione di avvenimenti clinici nel momento stesso in cui essi si verificano.
Resta in ogni caso contemporanea la verbalizzazione anche se avviene qualche tempo dopo, nel rispetto dei limiti suddetti.
La giurisprudenza (1983, 1987), afferma che: “la cartella clinica adempie la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti,per cui gli eventi devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi.
Pertanto la cartella clinica acquista il carattere di definitività in relazione a ogni singola annotazione ed esce dalla disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata.
Ne consegue che (all’infuori della correzione di meri errori materiali) le modifiche e le aggiunte integrano un falso punibile, anche se il soggetto abbia agito per ristabilire la verità, perché violano le garanzie di certezza accordate agli atti pubblici” (Cassazione Penale).
I problemi che pone il dispositivo della sentenza sono quelli della contestualità tra verbalizzazioni ed eventi della malattia e della definitività della verbalizzazione nel momento stesso in cui vengono annotati gli eventi di degenza, che “ex tunc” escono dalla disponibilità del verbalizzante.
Il fine primario della cartella clinica è in effetti l’ottimale registrazione dell’assistenza sanitaria erogata al ricoverato, per cui la contestualità tra verbalizzazioni ed eventi propri della malattia si ritiene possa realizzarsi nei limiti di tempo compatibili con la riflessione clinica, con le situazioni contingenti e comunque, come esprime la dottrina, in pendenza di ricovero, pur con il rispetto della sequenza cronologica della registrazione.
È da ritenere quindi contemporanea anche la registrazione che avviene qualche tempo dopo, entro la giornata o quella successiva, in relazione alle contingenze del caso clinico concreto, alle attività di reparto e, in caso di eventuale informatizzazione, all’organizzazione dell’immissione dei dati nel computer.
La contestualità della registrazione va intesa in senso più stretto in alcune obiettività che possono evolvere e cambiare in breve tempo; al riguardo, la succitata giurisprudenza esprime la necessità di una registrazione contestuale, non postuma, per i fatti clinici rilevanti.
Il fondamentale rilievo della cartella clinica è sottolineato dal nuovissimo Codice di Deontologia Medica che qualifica come dovere professionale la sua redazione in forma chiara “con puntualità e diligenza, nel rispetto delle regole di buona pratica clinica” dovendo essa contenere “oltre a ogni dato obiettivo relativo alla condizione patologica e al suo decorso, le attività diagnostico-terapeutiche praticate” (art.23).
Ultimo aggiornamento
23 Febbraio 2024, 11:55