La conservazione, gli archivi e la circolazione

La conservazione della cartella clinica

In ordine alla conservazione del documento una circolare del Ministero della Sanità (n.900 2/AG454/260), emanata il 19 dicembre 1986 stabilisce che “le cartelle cliniche, unitamente ai relativi referti, vanno conservate illimitatamente, poiché rappresentano un atto ufficiale indispensabile a garantire la certezza del diritto, oltre a costituire preziosa fonte documentaria per le ricerche di carattere storico-sanitario”.

“In merito alla conservazione, presso l’archivio delle istituzioni sanitarie, delle radiografie” continua la circolare del Ministero della Sanità “non rivestendo esse il carattere di atti ufficiali, si ritiene che potrà essere sufficiente un periodo di venti anni. Tale indicazione si riferisce al periodo minimo di conservazione più lungo”.

“In analogia a quanto stabilito per le radiografie, si ritiene che la restante documentazione diagnostica possa essere assoggettata allo stesso periodo di conservazione di venti anni previsto per le radiografie stesse, finché non intervengano eventuali ulteriori disposizioni a modificare il limite predetto. Si coglie l’occasione, infine, per segnalare che laddove i presidi sanitari trovassero difficoltà nell’allestimento di idonei locali da destinare ad archivio, è consentita la possibilità del ricorso alla microfilmatura sostitutiva di tutta la documentazione sanitaria”.

La documentazione clinica, cui fa riferimento anche l’allora art.10 del Codice di Deontologia Medica, deve essere custodita dal medico solo durante la fase di degenza del paziente, così come si evince dalla lettura dell’art.7 del DPR n.128 del 1969, mentre al momento del passaggio della cartella clinica all’archivio centrale, la responsabilità si trasferisce al direttore sanitario dell’ente.

Gli archivi

Molto si è discusso sul problema della conservazione dei memoriali clinici, al cui proposito si ricorda come il significato etico-deontologico riaffiori prepotentemente, al di là della problematica giuridica, in ordine alla realizzazione e alla gestione degli archivi computerizzati già sottoposta all’attenzione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa; poiché “nell’ipotesi di una effettiva introduzione di sistemi di archiviazione di questo tipo occorrerà una particolareggiata e rigida normazione”.

Sì afferma infatti, nella letteratura specialistica, che “occorre fissare degli standard di comportamento uniforme da qui l’importanza di una guida tracciata dagli Ordini professionali, valida per tutti gli iscritti”.

E infatti “giova comunque rilevare, in considerazione del sempre più frequente costituirsi di banche dati contenenti informazioni di carattere sanitario, come sia prevista anche per tali archivi la denuncia al Ministero dell’Interno, secondo quanto stabilito all’art.8 della Legge 121/1981”.

Così, successivamente a tale promulgazione legislativa, il Ministero dell’Interno con circolare n.558/6b.2. del 18 settembre 1981 ha demandato ai Prefetti l’obbligo di ricevere le denunce relative agli archivi magnetici: “I medici che detengono archivi magnetici dovranno notificare la loro esistenza alla Prefettura”.

La circolazione della cartella clinica

Ulteriori conflittualità deontologiche emergono in tema di circolazione della cartella clinica posto che, oltre all’interessato,altri possono avere diritto ad ottenerne copia.

La normativa cui fare riferimento è il DPR n.128 del 1969 che all’art.5 prevede il rilascio agli aventi diritto individuabili oltre che:

  1. nel paziente stesso;
  2. alla persona fornita di delega conformemente alle disposizioni di legge;
  3. in tutti i soggetti appartenenti al servizio sanitario pubblico (visto come “obbligo da parte dell’ente ospedaliero di trasmettere copia della cartella clinica a un altro soggetto del servizio sanitario che abbia strumentalmente bisogno della cartella clinica per erogare il servizio di sua competenza”);
  4. al medico curante;
  5. negli enti previdenziali (INAIL-INPS);
  6. nell’autorità giudiziaria;
  7. mentre più discusso è tale diritto per gli enti di patronato e per la PS.

Il complesso di norme derivate dalla Legge n.675 del 31 dicembre 1996 sulla tutela della privacy, si applica in maniera chiara alla registrazione dei dati sensibili (inerenti cioè la salute e la vita sessuale della persona) di cui la cartella clinica costituisce la massima espressione applicativa.

Particolari garanzie sono richieste per quanto attiene la registrazione in cartella dei risultati di test genetici (DLgs 30 luglio 1999 n.282).

Gli artt.10 e 11 del Codice di Deontologia medica raccomandano d’altronde la più attenta cura e la più riservata custodia della documentazione clinica.

Con proprio parere del 19 maggio 2000 l’Autorità garante della privacy ha rigorosamente disciplinato i limiti da rispettare nell’accesso alla cartella clinica da parte degli sponsor di sperimentazione clinica.

Ultimo aggiornamento

23 Febbraio 2024, 11:57